02/02/09

Una patata nello stagno?


Non c'è dubbio, la Fiera di Sant'Orso è ancora oggi il momento cardine della vita valdostana.
Quando altrove finisce di spegnersi l'eco delle feste di fine anno e si torna al solito tran tran, qui la febbre inizia invece a salire. Perché "esserci è tradizione". Da mille anni. Da epoche in cui il clima, più mite, faceva di fine gennaio - anche tra i monti - il momento per procurarsi gli attrezzi agricoli in vista della nuova stagione.


In nome della tradizione, oggi come ieri, si possono fare e dire le cose più alte e belle come le più fasulle. Fasulla, ecco. Abbiamo sentito definire fasulla la Fiera di Sant'Orso e questo ci ha fatto riflettere. Una prima risposta, troppo facile ma indiscutibile, consiste nel dire che, se fosse davvero e solo fasulla, di sicuro non spingerebbe più di mille artigiani a rischiare il congelamento dall'alba al tramonto per due giorni pieni. Non v'è dubbio però che senza finanziamenti, senza l' organismo che sostiene l'artigianato valdostano e ne assicura la presenza tutto l'anno in diversi punti vendita della regione, senza le scuole d'intaglio, senza le fiere estive che animano le località turistiche, senza soprattutto l'immane sforzo organizzativo (capitanato e coordinato dall'Assessorato Regionale Attività Produttive) che consente di mettere in moto la macchina da guerra che rappresenta oggigiorno una manifestazione come quella, l'anima della nostra fierissima Fiera sarebbe meno pulsante.


Ma fiumi di soldi e l'impegno di centinaia di persone non basterebbero se la fiammella della passione per il legno (soprattutto), la pietra ollare, i cesti di vimini, il ferro battuto, i pizzi al tombolo (Cogne), il Drap (Valgrisenche) la canapa (Champorcher) i sabots (valle d'Ayas) e molti altri saperi e gesti ancestrali, fosse fasulla. Ha certamente conosciuto momenti di debolezza. Ricordiamo fiere degli anni 70 in cui, accanto a qualche grande firma dell'artigianato (che ancora non osava neppure immaginarsi d'arte), si respirava odore di disarmo. Ma scolpire il legno e creare bellezza a partire dalle più umili cose fa davvero parte del DNA dei valdostani, uomini e donne.
Molti degli artigiani di oggi, anche tra i più giovani, sono artisti, grandi artisti. Qualcuno riesce a viverne. L'artigianato del legno è ora abbastanza forte da potersi permettere di contestare le linee guida di chi lo sostiene finanziariamente. E' in atto da un paio d'anni un tira e molla dai toni a volte decisamente accesi su di un aspetto della tipicità. Si discute sull'opportunità di accogliere opere colorate, nelle manifestazioni finanziate dall'Amministrazione Regionale per promuovere l'artigianato di tradizione.


Usare pigmenti per colorare sculture di legno, prevalentemente basso rilievi, non è tradizionale dell'artigianato valdostano.
Se si esclude il legno dipinto delle sculture religiose, qualche rara pennellata di colore compariva magari a sottolineare la sella di un cavallo-giocattolo ma era davvero un eccezione.
Le tavole colorate sono radicate nella tradizione di altre zone alpine. E' giusto o sbagliato che vengano proposte anche qui come artigianato tipico? Il dibattito prosegue.
Non vi diremo il nostro parere. Tar la pensa in un modo e Tifla in un'altro. O forse entrambi nello stesso modo. Largo alla creatività e all'evoluzione purché però non si perdano le radici.


Eccoci in qualche modo tornati al punto di partenza. In nome della tradizione, oggi come ieri, si possono fare e dire le cose più alte e belle come le più fasulle.
Un pericolo forse c'è, lasciarsi andare a raccontare o, peggio ancora, a raccontarsi che i tempi passati, quelli degli zoccoli di legno per intenderci, fossero idilliaci. Qui tra i monti e soprattutto nelle frazioni isolate dalla neve per lunghi mesi, le condizioni di vita erano semplicemente inimmaginabili. Anche d'estate. Ma proprio in memoria di chi ci ha tramandato questa terra aspra e bellissima e i gesti per addomesticarla e abbellirla, alla Fiera di Sant'Orso esserci è naturale.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

A parte il fatto che non ho mai percepito la Fiera come una celebrazione del "...come si stava bene quando si stava peggio...", al di là di qualsiasi considerazione culturale, economica, sociologica, ecc. sono convinta si tratti di un evento "vero" e da salvaguardare, se non altro in quanto espressione e valorizzazione della manualità e della creatività umane (senza entrare nel merito delle tipicità e degli stili), non credo sia poco in questa nostra epoca in cui il "saper fare" è diventato veramente una preziosa rarità......
Saluti a tutti
Clara

Tar e Tifla ha detto...

Quanto hai ragione, Clara. Grazie!

Anonimo ha detto...

Invidia. Accidenti, si: invidia.
Ma non, intendiamoci, invidia negativa, del tipo "io non ho queste cose e quindi non dovresti averle nemmeno tu": No, io vorrei che anche qui, terra aspra e meravigliosa come la Valle, sopravvivessero davvero le tradizioni antiche. Vorrei che anche qui ci fossero la possibilità e la volontà di "mettere in moto macchine da guerra" per far sì che le varie fiere, piccole e grandi, fossero vetrina dei mastri artigiani, che invece hanno da tempo dovuto abbandonare il sapere tramandato dai padri e guadagnarsi il pane in altro modo.
Vorrei, e molti altri vorrebbero. Perché vediamo che tutto questo è possibile, lì da voi ma anche dai nostri vicini trentini e friulani, dove amministratori lungimiranti hanno saputo dar valore al territorio, alle bellezze naturali, alle capacità delle persone.
Non sto a entrar nel merito delle varie quastioni scissioniste-referendarie, ma ci sarà pur un motivo se questi referendum ottengono sempre il plebiscito popolare.
Non sto a parlare dell'arroganza dei molti che considerano questa Provincia solo terra da rapinare, a cui tutto prendere e nulla dare.
Mi ferisce la consapevolezza che, per i più, quando si dice Dolomiti si pensi automaticamente al Trentino, e Belluno non si sa nemmeno dove si trovi. Eppure qui ci sono, per dirne alcuni, il Civetta, le Tofane, il Pelmo, l'Antelao, le Tre Cime di Lavaredo, simbolo stesso della Provincia.
E qui, nei tempi degli zoccoli, qui come in Valle, era viva l'arte degli oggetti quotidiani creati con il legno, la pietra, il telaio, il ferro. E spesso l'arte quotidiana diventava Arte. Uno fra tutti: il Michelangelo del legno, Andrea Brustolon. E lo sapevate che a Belluno si rivolgeva l'intera Europa per le lame? Le spade prodotte qui erano le migliori in assoluto, ma anche di questo non rimane traccia, spesso nemmeno la memoria.
Ecco perché invidia. Perché lì da voi la memoria rimane, è viva, è amata, è coccolata.
Forse anche qui sapremo ritrovarla, io lo spero.
Intanto grazie per aver fatto sì che anche chi non era ad Aosta nei giorni della Fiera abbia potuto esserci. :-)