27/02/09

Le pietre sul tetto

Un angolo del borgo di Bard visto dal forte

Nel primo dopoguerra, un immigrato scriveva alla giovane sposa rimasta al paese "...fa tanto freddo e ci sono i sassi sui tetti..."

La donna, molti anni più tardi raccontò ai figli (nostri amici) che la prima cosa che fece quando scese alla stazione di Aosta, dopo aver abbracciato il marito, fu cercare con gli occhi le case con sopra dei grossi ciottoli tondi come se li era immaginati lei.

25/02/09

Mille Metri, Due Stagioni

Foto di Fabio e Christel

Un villaggio del comune di Saint Rhémy en Bosses a poche centinaia di metri dall'ingresso al tunnel del Gran San Bernardo


A 25 chilometri di distanza, un villaggio alle porte di Aosta, 1000 metri più in basso. Il verde che si intravvede è valeriana seminata in autunno.

23/02/09

Per pochi intimi?

A fianco delle ricette tradizionali che ci capiterà di riportare il più fedelmente possibile (anche se non sarà certo facile dato che ogni vallata, per non dire ogni frazione o forse ogni casa, ha la sua variante ;-) abbiamo l'ardire di raccontarvi qualche nostra interpretazione più attuale dei prodotti locali.
Immaginiamo di prendere due tra i sapori "di montagna" più particolari, i mirtilli e la farina di castagne. Immaginiamo di farne un dolce... un Cake ai Mirtilli e alla Farina di Castagne.


Siccome la stagione migliore della seconda inizia quando i primi sono ormai sotto la neve, abbiamo usato dei mirtilli surgelati e non ce ne pentiamo affatto.
Se il sapore intenso e amarognolo della farina di castagne vi spaventa, diminuitene le proporzioni usando metà frumento e metà castagna.

Per una forma da cake di 25-26 cm :
150/200 g di mirtilli (freschi o lasciati sgelare)
150 g di zucchero
2 uova grandi o tre piccole
150 g di farina di castagne
50 g di farina di frumento
un cucchiaio raso di lievito per torte (3-4 g)
100 g di panna liquida
50 g di burro morbido
mezzo bacello di vaniglia
un pizzicone di sale

Mentre il forno si scalda, sbattiamo le uova con lo zucchero quindi aggiungiamo i semini raschiati dal bacello di vaniglia e le farine setacciate con il lievito e il sale. Uniamo la panna e il burro e quando l'impasto è uniforme incorporiamo anche i mirtilli. Versiamo in una forma imburrata e infarinata e mettiamo a cuocere a 180° per 50-60 minuti. Se dopo 50 minuti una lama di coltello non esce pulita, è facile che si debba coprire il dolce con carta forno per completare la cottura senza che si scurisca troppo.
Lasciamo intiepidire una decina di minuti nella teglia quindi sformiamo e mettiamo a raffredare su una griglia da pasticceria. Conviene aspettare che sia ben freddo per tagliarlo sennò tende a sbriciolarsi. Tanto, scoprirete anche voi che è migliore se aspetta qualche ora. L'ideale è cuocerlo il giorno prima e, appena freddo, avvolgerlo in carta forno. Interviene qualche strana alchimia che rende i sapori più rotondi e armoniosi.


L'idea di questo abbinamento è di Sophie Dudemaine, la regina dei cake. Abbiamo re-interpretato, variandone le dosi, un suo cake del mese ( Cuisine Actuelle - septembre 2008).
Dobbiamo verificare la nostra impressione ma, dalle ricette tradizionali che conosciamo, ci sembra che qui da noi si usassero molto più frequentemente le castagne secche intere (ad esempio nel buonissimo Peulò di orzo, latte e castagne o per le castagne al burro da servire col lardo) che la farina di castagne.


La farina che abbiamo usato è quella della Cooperativa Il Riccio di Lillianes che mantiene viva la castagnicoltura nella Valle del Lys, o di Gressoney se preferite. Sono ottime anche le loro castagne secche e veramente deliziosi i fiocchi di castagna. Trattandosi di prodotti di nicchia può però succedere che si esauriscano prima del raccolto successivo. Noi, quando le provviste fatte al padiglione enogastrononico della Fiera di Sant'Orso non bastano, andiamo a rifornirci al Pain de Coucou, la rivendita di prodotti tipici che affianca la CoFruit di Saint Pierre oppure allo Tsaven, il mercatino dei contadini sotti i portici del municipio di Aosta ogni seconda domenica del mese.
In Valle d'Aosta, come peraltro in Corsica, il castagno è stato introdotto dai romani e per secoli è stato una fonte di sostentamento essenziale per uomini e bestie. Immaginate queste terre prima che vi arrivasse la tartifla, pardon, patata!

20/02/09

Meline


No, non sono nemmeno bio. Sono proprio mele dimenticate. Sono piccole perché non sono state diradate e forse non è stato potato neppure l'albero. Arrivano da un villaggio di una sola casa situato appena sopra il castello di Cly (ma di questo vi parleremo un'altra volta). Sono state raccolte dall'amico Carlo che le ha messe nel suo granaio e, quando ce le ha regalate, sono finite nelle scale. Niente potatura, niente trattamenti, niente diradamento, niente conservazione in ambiente climatizzato. Sono piccole, persino un po' raggrinzite ma... che buone!
Naturalmente mele così sono introvabili. L'anno prossimo Carlo avrà tempo di occuparsene e otterrà mele biologiche normali e, probabilmente altrettanto buone. No, non ve ne abbiamo parlato solo per farvi invidia ma perchè anche noi che viviamo in mezzo ai meleti ci eravamo dimenticati che le mele, quelle vere, sono queste.


Eccole a confronto con una renetta media che cresce sotto casa nostra con tutte le cure e che al pari delle sorelle povere non ha mai visto frigoriferi.

17/02/09

La Seupa di Baselie


Quando si parla di Valle d'Aosta e di Seupa si pensa subito alla Seupa alla Vapelenentse che è un'interpretazione moderna messa insieme partendo dalle ricette delle famiglie di Valpelline e preparata in quel modo per la Sagra della Seupa che si tiene a Valpelline tutti gli anni verso la fine del mese di Luglio. Solo quella, con quella ricetta, così come l'ha raccontata Annina, ha il diritto di chiamarsi Seupa alla Vapelenentse soprattutto ora che ha ottenuto la Denominazione di Origine Comunale (DECO). Tutte le altre sono varianti ma, la Seupa era uno dei piatti preparati più frequentemente nelle famiglie valdostane. La Seupa era quasi sempre pane, brodo (sovente di verdure) e formaggio (a volte persino qualche fondo di Fontina). Le donne valdostane lavorano duramente con i loro uomini in campagna e in stalla e, probabilmente, a volte, preparavano la Seupa della sera nella pausa di pranzo e, quando andavano a mungere la mettevano nel forno della stufa perché fosse pronta e calda quando tornavano. Questo è quanto è emerso da una breve ricerca nei ricordi degli amici che abbiamo consultato. In quanto alla Seupa con sopra la Fontina gratinata è un'evoluzione per i giorni di festa di questa minestra riscaldata resa croccantina dal lungo soggiorno in forno. Alcune nonne la facevano così, altre (la maggioranza) no.
Noi abbiamo provato a immaginare l'evoluzione della Seupa che nonno Masorien mangiava quasi tutte le sere.


In una pirofila (nonna Baselie avrebbe usato una teglia di alluminio) abbiamo messo approssimativamente 300 g di Pan Ner raffermo, 100 g di Fromadzo e 100 g di Fontina. Abbiamo coperto con il brodo bollente del bollito del giorno prima (debitamente sgrassato), lasciato riposare alcuni minuti e aggiunto altro brodo. Così, finché il pane non è più in grado di assorbirne. Dipende molto da quanto è secco. Al momento di infornare, abbiamo coperto la teglia con altri 100 g di Fontina tagliata a fettine sottili poi, in memoria delle nostre nonne che lo mettevano dappertutto, abbiamo aggiunto anche qualche pezzetto di burro, versato altro brodo (non proprio a filo, diciamo 2/3 dello strato di pane e formaggio) e infornato il tutto a 150° per una mezz'oretta. Insomma, fino a quando la Fontina non ha cominciato a fondersi; a quel punto abbiamo acceso il grill per dorare il tutto e...
Bisogna pazientare un po' perché, appena uscita dal forno è da ricovero.

Varianti, da famiglia a famiglia:
- una spolverata di cannella prima di versare l'ultimo brodo
- una spolverata di Quattro Spezie
- una spolverata di spezia La Saporita
- metà pane nero metà pane bianco

16/02/09

Lo Bouilloun de Baselie


L'abitudine di mettere pane (sovente nero) e Fontina nella minestra o nel brodo era (è) molto diffusa tra le persone delle generazioni precedenti (lo faceva sempre anche nonno Masorien). Immaginiamo che, le nonne Baselie della valle abbiano cercato di nobilitare questa abitudine per fare la seupa della Domenica (il suono eu si pronuncia alla francese, come bleu o Depardieu :-)
Cominciamo dal brodo (lo Bouilloun che si legge alla francese e si pronuncia bugliun) come lo faceva? La carne la compravano raramente (ricevevano dei pezzi dal macellaio al quale vendevano i capi da abbattere?) o riutilizzavano le ossa del Bouli Achétou?.
Ieri siamo andati a dal macellaio con l'intenzione di farci dare delle ossa per un brodo povero poi abbiamo visto della testina (la guancia) e abbiamo optato per bollito più brodo per seupa :-)


Nell'acqua fredda abbiamo messo:
un porro dell'orto conservato con metodi antichi. (In un secchio pieno della stessa terra nella quale era cresciuto)
una foglia di alloro dall'albero dietro casa
un gambo di sedano (comprato fresco ma Baselie avrebbe usato uno di quelli conservati in cantina sotto la sabbia)
una carota (vedi sopra)
due pezzi di ossi bovini (noi freschi ma Baselie avrebbe usato quelli del Bouli dei giorni precedenti)
Quando l'acqua è arrivata ad ebollizione abbiamo aggiunto la testina tagliata in quattro e alla ripresa del bollore, aggiunto il sale.

Questa sera mangeremo la guancia e metteremo la pentola con il brodo sul balcone, proprio come faceva nonna Baselie. Domani mattina toglieremo il grasso rappreso e metteremo in frigo o in congelatore per quando avremo tempo e voglia di fare una seupa (più nota come seupetta).

14/02/09

Blu




Dedicato a tutti gli innamorati.

11/02/09

Lo Rateli

Siamo andati a fotografarlo in una soffitta ma avremmo potuto incontrarlo appeso al trave di un fienile. Il rateli è la rastrelliera che per secoli ha consentito di conservare a lungo lo pan ner.
Anzi, da quando sono stati restaurati alcuni forni consortili e nei villaggi è tornata l'abitudine di fare il pane tutti insieme prima di Natale, qualcuno ha ripreso ad usarlo.
Ovviamente le pagnotte diventano secche (e forse si impolverano anche un po';-) ma l'aria, che da noi raramente è umida e sotto il tetto è tutta spifferi, circola tra di loro scongiurando il pericolo che ammuffiscano. Inoltre, ora come allora, i roditori non riescono a raggiungerle. Un tempo dovevano durare fino all'infornata successiva...
Eppoi, diciamolo, il rateli fa sempre una gran figura !

09/02/09

Nonna Baselie

L'unica nonna valdostana che abbiamo avuto, non l'abbiamo mai vista cucinare. Chiederemo senz'altro ad altre nonne le loro ricette. Però...concedeteci un esercizio di stile e di riconoscenza:
Masorien e Baselie avevano una nipotina emigrata con i genitori nel nord della Francia e così adottarono l'amichetto coetaneo della nipotina: Remy. Nonno Mojen portava il piccolo vicino al pascolo con lui o lo metteva sulla schiena della paziente cavalla da tiro quando partiva nei campi col carretto e nonna Baselie lo invitava a pranzo a volte. Remy era piccolissimo allora e si ricorda della cavalla e di un vitello che lo rincorreva e giocava a buttarlo per terra a testate ma non ricorda cosa gli faceva da mangiare nonna Baselie. Più grande (10-12 anni), Remy andava ad aiutare Masorien e Baselie a fare le vendemmie o i fieni come altri vicini e, come si usava allora (40 anni fa, mica nel Medio Evo) la ricompensa era una cena al rientro dai campi. Le uniche cose che ricorda Remy sono Baselie che cucinava tutto sulla stufa a legna (anche d'estate) e Masorien che metteva pezzi di pane e Fontina o Fromadzo nella minestra.

Quando ci capiterà di ricostruire una ricetta assemblando quanto tramandato agli amici dalle loro nonne, le attribuiremo a Nonna Baselie, la nostra nonna valdostana virtuale.

08/02/09

07/02/09

06/02/09

Tartifla


Tartifla in patois (pron. patuà) il fancoprovenzale che parliamo in Valle d'Aosta, in italiano si dice... patata.

Nel 1777, il notaio Jean-François Frutaz fu il primo a seminare patate in Valle d'Aosta, precisamente a Chatillon. I valdostani, seppur letteralmente decimati dalla grande peste del secolo precedente, si abituarono lentamente a nutrirsene. Le patate invece si ambientarono benissimo. Le migliori sono ovviamente quelle coltivate nei campi di mezza montagna. Se ne sono accorti (purtroppo) anche i cinghiali ;-)
Ancora oggi, la patata ha un posto importante nella cultura e nella vita sociale valdostana.
Il piatto nazionale consiste tutt'ora in patate lesse e salsicce (tartifle e sauceusse).
Per chi volesse lanciarsi in preparazioni meno rustiche ...

... una Tatin di patate veramente da provare. La ricetta la trovate dai Cuochi di carta.

04/02/09

Lo Bouli Achétou


Sono due giorni che ci chiediamo come spiegare la pronuncia di Bouli Achétou e, alla fine ci abbiamo rinunciato. I post diventerebbero chilometrici e un filino scolastici. Persino la grafia è oggetto di dispute tra le varie correnti di pensiero. Chi volesse approfondire l'argomento può provare a digitare Francoprovenzale o Patois in un motore di ricerca e provare ad orientarsi.
Ci suggeriscono che bisognerebbe dire: Bouli de Tseur Achétaye che corrisponde a: Bollito di Carne sotto sale e aromi.
Un tempo, quando non c'erano i frigoriferi, l'unico modo per conservare la carne era metterla sotto sale (con qualche aroma per migliorarne il gusto).
Oggi lo facciamo solo per ricercare quel particolare sapore e, non essendoci costretti, ci limitiamo a lasciarla macerare 2 o 3 settimane.
Questo è proprio il momento in cui è più facile trovarla, sia perché il bollito di carne salata è uno dei piatti tradizionali della Veillà (la notte fra i due giorni di fiera) di Sant'Orso, sia perché la macellazione per uso famigliare ha avuto luogo da metà a fine dicembre.
Leo, il macellaio della Cooperativa Carni di Pollein, usa: sale, aglio, rosmarino e salvia, rigorosamente a occhio.


Di nostro, per un chilo di carne, abbiamo aggiunto:

2 carote
2 gambi di sedano
1 porro dell'orto conservato nella vecchia stalla in un secchio pieno di terra (l'altra metà dei porri purtroppo è rimasta nell'orto sotto la neve di Novembre :-(
8 patate Agria sempre dall'orto.

Abbiamo messo le verdure in 4/5 litri di acqua fredda. Quando l'acqua è giunta ad ebollizione, abbiamo messo in pentola la carne e pazientato 3 ore abbondanti aggiungendo un litro di acqua bollente al bisogno e le patate una buona mezz'ora prima che fosse pronto. Ovviamente non abbiamo aggiunto sale ;-)
Il brodo che si presenta molto torbido e decisamente salato benché sia servito a cuocere anche le patate va, purtroppo, buttato. Oggigiorno, visto che abbiamo la scelta, è senz'altro meglio mettere in pentola un pezzo di carne sotto sale con altri 3 o 4 tagli di carne fresca.
Diego Bovard dell' AREV ci manda una scheda del prodotto dalla quale estrapoliamo quanto segue:

Valorizzazione del patrimonio gastronomico della Valle d'Aosta (istituzione dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali) Art. 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n.173


Scheda identificativa

La metodica di lavorazione non è mai stata codificata in maniera definitiva ed accettata da tutti i produttori ma è stata tramandata oralmente tra le diverse generazione; se ne desume che il metodo descritto è una accettabile metodica di produzione che può subire modifiche in base alla tradizione tramandata di padre in figlio.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:
Si utilizzano tagli della spalla o del costato di vacca di razza valdostana, pecora o capra. La carne, preparata in pezzi regolari del peso di circa mezzo Kg, viene collocata in strati successivi dentro un mastello in legno o, in mancanza, in un contenitore in acciaio. Ogni strato viene cosparso di sale ed erbe aromatiche (salvia, alloro, aglio). Una volta riempito, il mastello viene tappato con un coperchio di legno; la pressione sul tappo è operata con pietre o altro idoneo materiale. Il contenuto viene fatto riposare in luogo fresco, al riparo dalla luce. La salamoia deve coprire tutto il prodotto in modo da conservarlo idoneamente. La carne può essere consumata sia cruda tagliata in fette sottili o cucinata in diversi modi.

02/02/09

Una patata nello stagno?


Non c'è dubbio, la Fiera di Sant'Orso è ancora oggi il momento cardine della vita valdostana.
Quando altrove finisce di spegnersi l'eco delle feste di fine anno e si torna al solito tran tran, qui la febbre inizia invece a salire. Perché "esserci è tradizione". Da mille anni. Da epoche in cui il clima, più mite, faceva di fine gennaio - anche tra i monti - il momento per procurarsi gli attrezzi agricoli in vista della nuova stagione.


In nome della tradizione, oggi come ieri, si possono fare e dire le cose più alte e belle come le più fasulle. Fasulla, ecco. Abbiamo sentito definire fasulla la Fiera di Sant'Orso e questo ci ha fatto riflettere. Una prima risposta, troppo facile ma indiscutibile, consiste nel dire che, se fosse davvero e solo fasulla, di sicuro non spingerebbe più di mille artigiani a rischiare il congelamento dall'alba al tramonto per due giorni pieni. Non v'è dubbio però che senza finanziamenti, senza l' organismo che sostiene l'artigianato valdostano e ne assicura la presenza tutto l'anno in diversi punti vendita della regione, senza le scuole d'intaglio, senza le fiere estive che animano le località turistiche, senza soprattutto l'immane sforzo organizzativo (capitanato e coordinato dall'Assessorato Regionale Attività Produttive) che consente di mettere in moto la macchina da guerra che rappresenta oggigiorno una manifestazione come quella, l'anima della nostra fierissima Fiera sarebbe meno pulsante.


Ma fiumi di soldi e l'impegno di centinaia di persone non basterebbero se la fiammella della passione per il legno (soprattutto), la pietra ollare, i cesti di vimini, il ferro battuto, i pizzi al tombolo (Cogne), il Drap (Valgrisenche) la canapa (Champorcher) i sabots (valle d'Ayas) e molti altri saperi e gesti ancestrali, fosse fasulla. Ha certamente conosciuto momenti di debolezza. Ricordiamo fiere degli anni 70 in cui, accanto a qualche grande firma dell'artigianato (che ancora non osava neppure immaginarsi d'arte), si respirava odore di disarmo. Ma scolpire il legno e creare bellezza a partire dalle più umili cose fa davvero parte del DNA dei valdostani, uomini e donne.
Molti degli artigiani di oggi, anche tra i più giovani, sono artisti, grandi artisti. Qualcuno riesce a viverne. L'artigianato del legno è ora abbastanza forte da potersi permettere di contestare le linee guida di chi lo sostiene finanziariamente. E' in atto da un paio d'anni un tira e molla dai toni a volte decisamente accesi su di un aspetto della tipicità. Si discute sull'opportunità di accogliere opere colorate, nelle manifestazioni finanziate dall'Amministrazione Regionale per promuovere l'artigianato di tradizione.


Usare pigmenti per colorare sculture di legno, prevalentemente basso rilievi, non è tradizionale dell'artigianato valdostano.
Se si esclude il legno dipinto delle sculture religiose, qualche rara pennellata di colore compariva magari a sottolineare la sella di un cavallo-giocattolo ma era davvero un eccezione.
Le tavole colorate sono radicate nella tradizione di altre zone alpine. E' giusto o sbagliato che vengano proposte anche qui come artigianato tipico? Il dibattito prosegue.
Non vi diremo il nostro parere. Tar la pensa in un modo e Tifla in un'altro. O forse entrambi nello stesso modo. Largo alla creatività e all'evoluzione purché però non si perdano le radici.


Eccoci in qualche modo tornati al punto di partenza. In nome della tradizione, oggi come ieri, si possono fare e dire le cose più alte e belle come le più fasulle.
Un pericolo forse c'è, lasciarsi andare a raccontare o, peggio ancora, a raccontarsi che i tempi passati, quelli degli zoccoli di legno per intenderci, fossero idilliaci. Qui tra i monti e soprattutto nelle frazioni isolate dalla neve per lunghi mesi, le condizioni di vita erano semplicemente inimmaginabili. Anche d'estate. Ma proprio in memoria di chi ci ha tramandato questa terra aspra e bellissima e i gesti per addomesticarla e abbellirla, alla Fiera di Sant'Orso esserci è naturale.